Cep Rap, non “solo” un evento musicale…

Cep Rap, non è stato “solo” un evento musicale; il Rap è genere che dà possibilità di espressione, anche in modo duro, ai giovani delle periferie urbane

Sabato 15 luglio 2017, l’area spettacoli del Circolo Arci Pianacci ed il PalaCep sono stati gioiosamente occupati da tantissimi giovani, accorsi per l’evento musicale che ha ospitato diversi ragazzi giovanissimi che fanno parte di un fenomeno ormai evidente: l’ascesa (a livello anche nazionale) dei rapper del ponente genovese.

Probabilmente non è un caso che i rapper genovesi siano tutti del ponente, probabilmente non è un caso che il movimento sia cresciuto e appaia oggi come compiuto e adulto.

Nel ponente genovese insiste la maggior parte degli edifici di edilizia popolari costruiti negli anni ‘60/’80 e questi ragazzi sono le seconde e terze generazioni che nascono e vivono in quei quartieri.

Non è un caso che la voglia di espressione e di identità di quei quartieri prenda la forma del Rap, genere e cultura musicale che, per propria natura, vuole dare possibilità di espressione, anche in modo duro, ai giovani e ha tra le proprie finalità quelle di rinnovare la cultura dove si si vive dando udienza e abitabilità a chi si sente messo da parte da decenni da maltarature urbanistiche, assenza istituzionale, marginalità dei servizi offerti.

L’evento, che per molti ragazzini del quartiere entrerà nel “diario” degli eventi memorabili, è stato ben organizzato da Festa del Sole e MAP eventi, con, tra gli altri, Milo Bernucci, Andrea Scardovi, Khalid Taiebi, Alessandro “FestadelSole”.

Sul palco si sono esibiti, tra gli altri, Nader Sha, Young Slash, Maison Cravasco, Vaz Te, Millon, Leless, DoppiaW, Adra e Flow, Cocodrill.

 

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Il 18 luglio è stata pubblicata dall’Associazione LibriDa, un’interessante intervista, realizzata dalla scrittrice Alessandra Giordano in occasione dell’evento al PalaCep.

Cep Rap e schiaffi di freestyle è il titolo scelto dall’autrice, profonda conoscitrice del Cep, quartiere nel quale ha insegnato per diversi anni.

Tutta da leggere… (link) 
Questo il testo

CEP, CEP come Centro Elementi Positivi. Così cantava, anni fa e in occasione di piccole performance scolastiche, Khalid Taiebi e ora è riuscito a metterli in luce questi elementi positivi, a coordinare l’evento Cep Rap fungendo da ponte tra gli artisti e le associazioni che hanno dato vita a questa serata.

Vaz TeNader ShahYoung SlashMaison Cravasco,  AdraFlow,  DoppiaW,  Million,  Leless sono stati contattati da lui; è stato Khalid a svolgere gran parte del lavoro così noi ci siamo potuti concentrare sugli aspetti tecnici” rivela Ale dell’associazione Festa del Sole.

In effetti per organizzare eventi giovani ci vuole gente giovane, grintosa, vivace e attenta: Khalid è tutto questo e incontrarlo qui, alto e sicuro di sé, mi rende orgogliosa.

Mille vite fa ero la sua professoressa e lui era un ragazzino alla ricerca di se stesso; mille vite fa e Khalid che continua a cercare se stesso nel suo insieme di culture:

Marocco e Italia; Islam, Cristianesimo e Comunismo; cous cous, pesto e capponata.

Il ragazzo testimonia che, al di là del risultato delle ultime elezioni, dettato più dalla disperazione che dalla convinzione, l’integrazione a Genova è già stata raggiunta.

A differenza delle banlieues francesi o dei quartieri popolari inglesi in cui girano, sconvolti, i crack’s had.

Si tratta di un’integrazione palpabile, tangibile, creata da pionieri quali Carlo Besana, presidente del Circolo Pianacci e il  padre di Khalid, il signor Taiebi, che all’epoca coordinava la Comunità Islamica locale e da cui il ragazzo ha ereditato la capacità di concretizzare eventi.

“Io sono amico dei ragazzi  che cantano qui stasera, ho partecipato a vari live e così avevo ben chiare le esigenze degli artisti: le luci, la musica, tutto ciò che è necessario perché un live riesca”.

Ale Festa del Sole conferma: conoscere la zona, i ragazzi, il trap è stato fondamentale”.

Trap come Trap House, le casette popolari degli USA in cui la droga viene venduta e consumata; ma anche trap, dicono i Maison Cravasco, come trappola, ghetto:

‘sti  lampioni son le palme di Beverly Cep…le madri preoccupate le faranno sante/ voglio di più di quello che ho/prendere tutto ciò che si può.

Parole che sono pietre pesanti, vite vissute, perché?

“La nostra è una fotografia in musica della realtà che vediamo ogni giorno; nel quartiere in cui viviamo il disagio c’è e, anche se per molti sarebbe meglio non parlarne, noi vogliamo parlarne.”

Li guardo incuriosita; si chiamano Stefano Folli e Giacomo Cavallino, in arte noti come Levis x Fohx, e la loro musica viaggia al ritmo dei pensieri: malinconici, rabbiosi, sfuggenti, inchiodanti.

Le parole obbligano a pensare e sembrano volersi imporre all’ascolto di chi non pensa più. Forse perché la via sbagliata…

…vorrei dire la droga ma mi impappino perché ci sono dei bambini intorno.

Stefano mi guarda e coglie il pensiero:

“Non è la via sbagliata il problema ma quello che ci sta intorno.”

“C’è tutta una violenza intorno…e una ricerca frenetica del denaro a qualunque costo”, aggiunge Giacomo.

I loro pezzi non fanno sconti, non c’è buonismo, nessun perbenismo ma ritratti scavati negli occhi:

Qualcuno in casa sta latitando/ qualcuno in strada lo sta aspettando.

Si tratta di una condanna chiara che prende di mira forse, più che il quartiere, le istituzioni perché compari con destini amari nelle popolari […] già viviamo nell’ingiustizia.

Sono giovani e complementari i ragazzi che ho di fronte, uno bianco e uno nero ma fisicamente simili, quasi impastati l’uno nell’altro, del resto la strada genera fratelli.

Chiedo loro come descriverebbero Via Cravasco, considerata da Voltri già parte integrante del CEP nonostante lo stradario continui ad assegnarla alla costa e non al ghetto:

“Via Cravasco è la porta da oltrepassare, il punto di contatto tra una periferia proletaria e una ancora più dura. Noi siamo andati a scuola a Voltri ma conosciamo bene il mondo al di là di questa porta.”

Un mondo che sintetizzano in versi: una famiglia da mantenere/ un cliente da accontentare/con il rischio delle catene/ e degli anni da scontare […] speriamo nel ricorso.

Perché la scelta della musica?

Lo chiedo in maniera provocatoria in quanto in genere, qui in quartiere, i più si orientano sul calcio o sul parkour.

Si guardano cercando di non ridere:

“Sul calcio eravamo un po’ scarsi.”

Poi il biondo aggiunge:

“A parte questo, la musica è un modo per raggiungere più fasce d’età, per raccontare la verità anche ai giovani”.

Più dura ancora, caratterizzata da una struttura ritmica sincopata, tagliente, che ti mette con le spalle al muro, è la musica di un altro artista, uno che quella porta è riuscito a sorpassarla a differenza di altri: “perché troppi, nascono, crescono e muoiono senza mai uscire dal quartiere”.

Si tratta di DoppiaW, al Palacep per il suo primo live (o forse si dice la sua prima live?) nella vita di tutti i giorni è Raffaele Lo Russo.

Il volto, dolcissimo, contrasta con la musica spietata, con le parole aggressive che scolpiscono volti, stade, scelte.

“Aggressivo sì, ma solo nel freestyle; mi piace essere rispettato ma senza fare il prepotente: c’è una bella differenza tra il rispetto e la paura.”

Io conosco il freestyle dell’ hip hop, non sapevo fosse legato anche al trap.

Mi spiega che il freestyle è un pezzo senza ritornello, senza cantilene orecchiabili; queste servono al rap dei figli di papà, a quelli che accettano, tramite la loro musica, di cantare ciò che il pubblico si aspetta.

“Il vero riconosce il vero e, benché io non condanni i figli di papà perché son più fortunati di noi, so che senza la strada e senza la sofferenza non ci può essere vero trap. Quest’ultimo nasce dalla povertà e la povertà ti priva di tutto, tranne che degli amici”.

Siamo vestiti senza tessuti/pensaci bene non siam mai caduti.

Aggiunge che a cadere ci vuole un attimo, è troppo semplice in questo quartiere che ti illude sul denaro

facile e in cui spesso si muore troppo giovani, si va dentro troppo giovani:

le brutte cose ti cambiano in meglio/ora scegli bene cosa ti conviene.

Ogni frase è una sentenza in musica,  DoppiaW ti spiega che il ghetto è questo:  prendere o lasciare.

“Io faccio rap da poco tempo; per i testi non ho attinto soltanto alle mie esperienze ma sono stato influenzato dalla musica di Marsiglia e di Lione.”

Gli chiedo di spiegarsi meglio poiché io non conosco l’argomento in maniera approfondita, conosco il rap di Fedez e di J-Ax.

Non commenta ma, con pazienza, spiega:

“Ogni pezzo deve durare poco ma essere d’impatto, parte deciso e spacca”.

Faccia dipinta di sangue/descrivo tua madre e le sue mutande.

Vivo per quello che mi hanno tolto/sempre incazzato mai stato coinvolto.

Spacca il silenzio, è evidente.

Oltre alla rabbia, nei pezzi di Raffaele, è presente anche il monito: non si può raccontare ciò che si vede eppure bisogna scuotere le coscienze, uscire in qualche modo dall’omertà; DoppiaW trova la via e ce lo dice in quel suo modo incalzante, fatto di suoni elettronici e parole-schiaffo: vedo, non vedo; no no non si vede.

Un verso forte e che può essere interpretato in più modi, l’inequivocabile descrizione di ciò che non può essere detto e che non può essere negato.

Gli chiedo come definisce il suo quartiere, cosa odia e cosa ama:

“Mi piace definirlo poverich, è una definizione dell’Equipe 84 ma la sento molto mia: povero perché i soldi non ci sono e devi lottare per salire ogni scalino, ricco perché sulla strada impari i veri valori e capisci che l’amicizia non ha prezzo, diviene un legame di sangue: sbagli insieme, ti rialzi insieme e se qualcuno non si rialza non lo abbandoni.”

Per chi nasce su questa collina dormitorio, in cui amianto e cemento spadroneggiano, è chiaro da subito che le possibilità di vita non sono le stesse dei quartieri residenziali; è incredibile come pochi chilometri segnino la differenza tra la vita e la morte, tra la gioia e la disperazione. Sembra che la speculazione edilizia abbia deciso di imprigionare i “terroni” in luoghi privi di speranza.

La situazione del quartiere viene inquadrata da Gianni De Gregorio, l’Efesto dei panini: “Queste serate sono belle ma fuori dalla Pianacci permane il buio; io che dormo poco, vedo di notte la gente che rovista nei cassonetti; si tratta di padri che hanno perso il lavoro e a cui l’attuale società non rivolge neppure uno sguardo”.

Questi giovani hanno guardato e hanno reagito, sono riusciti a trasformare il limite della povertà in risorsa artistica e il trap di DoppiaW, di Maison Cravasco e di tutti coloro che hanno partecipato a questa serata, indica che una via d’uscita c’è.

Il vento del Turchino e il mare lontano, a scaglie, ora raccontano che tra il mondo degli adulti e il mondo dei giovani ci può essere condivisione, che i quartieri popolari non sono luoghi di perdizione ma fucine d’arte.

A fine anno, l’ultimo per me come insegnante al Cep, un alunno mi ha detto: “è l’individuo a determinare la sua sorte, puoi sempre scavalcare il muro e diventare più forte persino degli altri, di quelli nati in quartieri residenziali che magari conoscono i libri ma non la vita. Per muro intendo l’ignoranza o la violenza, che per molti sostituisce la parola che manca e allora la rabbia diviene l’unico modo per emergere sugli altri, più sei arrabbiato, più sei forte.”

La parola ora c’è e sono stati Milo Bernucci e Andrea Scardovi a renderla concreta:

“Conoscevamo i ragazzi già dai tempi del calcio, eravamo certi che avrebbero trovato uno spazio per esprimersi” a parlare è Milo Bernucci, racconta come è nato il Cep Rap e perché lui e Scardovi si sono sentiti di dar fiducia a questi giovani; specifica poi che “senza Khalid, senza Pietro e Alessandro di Festa del Sole l’evento non sarebbe stato possibile”.

Infine precisa che il ricavato serve sia per coprire le prese sia per dar vita a un nuovo evento.

Andrea Scardovi mi racconta come si viene a costituire la M.A.P Eventi, ritiene che la serata sia stata un successo in quanto alla Pianacci erano presenti quattrocento giovani “ma”, aggiunge, “sono sicuro che avrebbero potuto essere di più; il CEP fa ancora un po’ paura e il nostro obiettivo è quello di abbattere questo pregiudizio.”

Carlo Besana, che ha curato i rapporti con la società di pattinaggio e con la stampa, era contento, l’aria del CEP gli era mancata per troppo tempo.

Alessandra Giordano