La visita al Cep di Ferruccio Sansa

Ieri, 8 marzo 2022, era il 25^ compleanno del Circolo Arci Pianacci e per una singolare coincidenza l’amico Ferruccio Sansa , consigliere regionale, ha pubblicato il racconto di una sua recente “visita” al Cep, con molti riferimenti alla storia del Pianacci…

C’è una scritta in ogni centimetro di cemento.
Decine, centinaia. Nere, rosse, argento.

Ma ovunque trovi quella parola: “amore”.
Per Giulia, per Serena, per Samuel, ma anche per la Cumpa, per gli amici.

E poi c’è qualcuno che in via Novella ha lasciato il suo messaggio sui muri e sulle trombe della scale: “Ti amo Vita”.

Non sono semplici sfoghi, i messaggi sui muri come quelli nelle bottiglie ci dicono qualcosa.

E qui al Cep di Pra’ ti aspetteresti di trovare, come era negli anni Ottanta, parole di rabbia, disperazione e solitudine. Sfregi di inchiostro che raccontano di ‘sbirri’, di ‘droga’.

E invece sul cemento tra palazzi, tunnel e sottopassi trovi soprattutto “amore”.

Per tanti anni vivere al Cep era quasi una condanna, c’erano perfino le sbarre alle porte e alle finestre per tenere il mondo fuori.
“Centro Elementi Pericolosi” era diventato il soprannome che ti si appiccicava addosso come un tatuaggio.

Poi qualcosa è cambiato, non grazie alle istituzioni, ma talvolta nonostante loro.
Sono state le persone a cambiare lentamente questo quartiere che adesso chiede di essere chiamato Ca’ Nuova, dal nome originale del progetto di edilizia popolare nato negli anni Settanta.
È stata la comunità che, nonostante tutto, ha ritrovato un orgoglio.
Un’anima.

Non chiedono poi molto gli abitanti, soltanto essere considerati gente normale.
Essere riconosciuti, anche, parte di Genova, quella città che da quassù pare stupenda di fronte al mare, ma irraggiungibile (e non soltanto per via dei pochi bus).

Certo, la gente del Cep ha dovuto superare molti ostacoli. In un municipio dove le amministrazioni pubbliche hanno concentrato il 60 per cento dell’edilizia popolare di tutta la città, in ossequio a quell’idea che dove ci sono già problemi ce ne puoi aggiungere altri.
Intanto nessuno protesta.
Così invece di distribuire le persone nei diversi quartieri della città, concentravano qui tutti quelli che avevano le stesse difficoltà, gli stessi disagi.
Semplicemente gli stessi problemi economici.

Erano gli anni in cui gli immigrati eravamo noi, gli italiani; ancora oggi dalle finestre spalancate spesso senti parlare siciliano, calabrese, napoletano.
Davano loro una casa – che case!
Umide, fredde, con pareti sottili come fogli di carta – ma niente servizi.

Mancava soprattutto quello che serve per far crescere i figli, per assistere gli anziani, per trovare un lavoro.
Per fare una vita normale, appunto.

Così negli anni in tanti si sono persi in quei corridoi interminabili, nelle gallerie che parevano fatte apposta per nascondersi e all’ombra dei palazzoni grigi.

Poi successe qualcosa: arrivò un uomo, un farmacista. Carlo Besana.
Ci voleva uno così, che veniva dalla Lombardia, che sapeva mettere insieme gli ideali con un sano spirito pratico.

La sua ricetta fu semplice, ma geniale: trasformare la disperazione e la rabbia in voglia di riscatto.
In orgoglio, anche.

Mattone dopo mattone arrivarono il Circolo Pianacci con il suo bar, poi la biblioteca, la scuola per stranieri, la festa che metteva insieme il pesto e il Cous Cous, il doposcuola, i corsi professionali.

Infine il miracolo del Palacep, una tensostruttura che farebbe invidia a tanti altri quartieri genovesi.

Così, tutti insieme, riuscirono nell’opera più difficile: far cambiare significato a quel nome.

Cep era diventato sinonimo di riscatto. I giornali ne parlavano.

In tanti ricordano la “Notte Grigio Topo”, in cui Beppe Grillo e Marco Travaglio, davanti a migliaia di persone arrivate da tutta Genova e non solo, lanciarono un movimento di autentico rinnovamento.

E come sempre succede le persone migliori ne richiamano altre: fu al Cep che festeggiammo gli ottant’anni di Don Gallo.

Qui ancora, dopo l’alluvione di Genova, si tenne un concerto unico in Italia, dove sul palco, dopo anni e anni, tornò Adriano Celentano.
Se lo ricordano ancora in molti il Molleggiato giunto fin quassù con un’auto nera – tra quei palazzi che tutti vedono dall’autostrada, ma dove così pochi si prendono la briga di salire – all’inizio un po’ spaesato, ma alla fine felice, eccitato come un bambino.

Ma chi si illudeva che la battaglia fosse definitivamente vinta si sbagliava.
C’è stata la mobilitazione che ha salvato almeno l’ufficio postale, ma il commissariato di Polizia se n’è andato.
Così come il supermercato e il medico, sì, soprattutto questo manca oggi agli abitanti: 6mila persone senza un’assistenza medica di prossimità.

Bisogna andare a Pra’ e a Voltri, ma spiegaglielo tu agli anziani senza auto.

È una telenovela che va avanti da anni e si rinnova ogni volta che si avvicinano le elezioni e qui tornano i politici per farsi vedere e prendere voti.

“La struttura dell’ambulatorio è stata ristrutturata, presto riaprirà”, dicevano due anni fa.
Lo ripetevano l’anno scorso.
E lo promettono anche quest’anno.
Finora niente.

Eppure costerebbe poche decine di migliaia di euro, molto meno di quello che la Regione ha speso per centoventi secondi di spot con Elisabetta Canalis al Festival di Sanremo.

Cep oppure Ca’ Nuova, il nome è cambiato, ma la morale è sempre la stessa: Genova si è dimenticata di questo quartiere grande quanto Nervi.

Dove il parroco fa miracoli per tenere aperta qualche ora la cappella anche se pure qui – forse più che altrove – la gente avrebbe bisogno di qualche santo cui votarsi.

No, i problemi non sono più gli stessi di una volta.
Certo, la criminalità c’è ancora, basta guardare le carcasse di auto bruciate, abbandonate lì, sotto i palazzi di via II Dicembre 1944.

C’è anche la paura di denunciare, di raccontare quello che tanti sanno e che senti bisbigliare da chi se ne sta affacciato alle finestre.

Ma i problemi sono soprattutto altri.
I ragazzi degli anni Ottanta oggi cominciano a essere pensionati, anziani. Hanno altre necessità.

Vero, il reddito di cittadinanza – bisognerebbe portare qui i soloni che lo criticano – evita che si sprofondi nella miseria. Aiuta a vivere senza il timore di doversi preoccupare addirittura di cosa mangiare.

Poi ci sono i giovani.

Fai presto a dire alle nuove famiglie di venire a vivere qui, ma poi devi dargli scuole adeguate.

La Aldo Moro ogni anno vede diminuire il numero degli allievi, perché le famiglie – come per liberarsi delle stimmate del quartiere – preferiscono mandare i bambini alla Duchessa di Galliera.

Abitare in via Novella, in via Martiri della Benedicta nell’altra Genova per qualcuno è ancora una colpa.

Ma c’era anche la Salvatore Quasimodo, un gioiello, con insegnanti motivati e capaci.
Oggi è un edificio in rovina, i vetri rotti, i rovi che escono da porte e finestre.
All’interno un rifugio per i disperati e le bestie.
È un monumento allo spreco.

Alla mancanza di idee e di iniziativa, soprattutto adesso che le risorse in città ci sono di nuovo e pare che non si sappia come spendere i soldi.
Invece non se ne fa niente, al massimo si parla del solito ricovero per anziani da affidare ai privati.

Pensate cosa diventerebbe se fosse usato come centro per la formazione e i congressi delle imprese legate al porto… che è a poche centinaia di metri”, propone Besana indicando le gru in perenne movimento del Psa.

Non è il solo caso: a poca distanza c’era un centro sportivo con campi di calcio e di basket.
Oggi è una distesa di erbacce e campi di lattughe.
Ettari di spazi pubblici che qualcuno si è rubato piano piano.

Già, quello che manca al Cep non sono gli spazi, non sono neanche forse le risorse, ma la volontà politica.
Un progetto.

E oggi fa quasi sorridere vedere che, a tre mesi dalle elezioni, il sindaco Marco Bucci arriva ai Pianacci.
Fa rabbia vedere che le auto abbandonate da anni vengono improvvisamente rimosse a favore di telecamere.
Passate le elezioni, c’è da scommetterci, tutto resterà come prima.

E resteranno Besana e il Consorzio Pianacci che l’anno scorso hanno garantito 2.700 ore di lavori di pubblica utilità, 2.300 ore di volontariato e 1.400 ore per la pratica del pattinaggio.
Pianacci che ha tenuto aperto, nonostante il Covid, il bar per oltre mille ore.
Le iniziative messe su dai volontari insieme con Arci, Sant’Egidio e altre associazioni non si contano: attività per la terza età (ginnastica, passeggiate urbane, laboratorio per imparare a usare pc e smartphone), campus sportivo estivo, laboratorio di writing e airbrush, Ceppions league (un torneo estivo che richiama decine di ragazzi), orientamento professionale, laboratorio sui diritti, sportello migranti e distribuzione di pacchi di alimenti per le famiglie in difficoltà.

Il cuore del Cep batte ancora, nonostante tutto.
Ma ci sono problemi che non possono, non devono essere affrontati dal volontariato.
Tocca alle istituzioni.

Basta entrare nei palazzi di via superiore Andrea Podestà e via Benedicta.
Basta salire piano dopo piano per le scale spesso senza luce e bussare alle porte.
Ogni casa una storia: c’è Rosa, arrivata quarant’anni fa con il marito da Messina, che chiede soltanto un ascensore che funzioni, una casa meno umida.

C’è Attilio che è uscito dal carcere nel 2016 e vive solo con un pitbull e gli arnesi con cui costruisce i suoi modellini: “Vorrei soltanto un po’ di caldo d’inverno”, chiede sistemando una coperta contro la porta per fermare gli spifferi. Poi ti indica il soffitto che perde pezzi, la facciata del palazzo così martoriata che pare Beirut dopo i bombardamenti. È piccolo l’appartamento di Attilio, appena due stanze, ci respiri solitudine, ma quest’uomo ti invita a visitarlo, ti offre un caffè. Vuole avere una casa vera. Finalmente.
Vuole normalità.

E quelle piccole cose che non ti fanno sentire dimenticato quassù: “Un negozio, un tabaccaio”, dice Luigi stringendo tra l’indice e il medio una sigaretta invisibile.

E’ vero, ci sono palazzi dove provi ancora un filo di gelo lungo la schiena quando ti perdi nei labirinti di corridoi pieni di buio, dove la sola luce è quella della lampadina del cellulare.
Dove trovi porte sfondate e se infili la testa dentro vedi gente che dorme su materassi distrutti, abbandonati per terra.

Insomma, la gente del Cep chiede che finalmente questi palazzi rosa e grigi diventino un vero quartiere e non soltanto cemento.
Che la spianata non sia semplicemente un vuoto tra condomini alti cinquanta metri, ma una vera piazza. Dove la gente di tutte le età si possa incontrare, parlare.

Certo, serve anche la presenza dello Stato che non può essere soltanto una volante che passa ogni tanto. Ma la sicurezza si costruisce anche mandando i ragazzi a scuola, senza lasciare che camminino senza meta.

La vera sicurezza è aiutare i giovani a trovare un lavoro, come cerca di fare lo sportello della Cgil che resiste a Pianacci: “La metà della gente che viene da noi non ha lavoro”, dicono.

Ricordo quando da giornalista mi era capitato di visitare Tor Bella Monaca e Corviale a Roma.
Quando ero stato a Scampia. Grattacieli e palazzi lunghi chilometri che sembravano fatti apposta per condannare chi ci sarebbe andato ad abitare.

Il Cep no, hanno un aspetto più umano queste case rosa.
Bastano pochi passi per trovarsi tra i sentieri che salgono verso il crinale e poi all’Acquasanta.

E si vede il mare, anche se pare così lontano. Un altro mondo.
Ma ci vuole altro per garantire alle donne e agli uomini che vivono qui quello che chiedono: un presente e un avvenire semplicemente normali. Niente di più.

Basterebbe, tanto per cominciare, un ambulatorio medico.
Poi, mica la luna, ma un semplice supermercato, un autobus più frequente che giri anche di notte.

(https://www.ferrucciosansa.it/sul-territorio-una-visita-al-cep-di-voltri)

(clicca per ingrandire)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

WordPress Anti Spam by WP-SpamShield